
Le antiche tradizioni delle famiglie contadine, ricordi scolpiti nella memoria.
Se c’è un mondo in cui l’evoluzione dei tempi e l’avvento della tecnologia si sono rivelati rivoluzionari, nel senso più intrinseco del termine, questi è senza dubbio quello contadino.
A rileggerle oggi, certe pratiche del passato assumono una connotazione di non facile interpretazione, se proviamo ad applicare le categorie sulle quali si fonda la società moderna.
Che è sì la società dei consumi, ma anche quella dell’attenzione ad ogni forma di sensibilità, talvolta assolutamente condivisibile, altre un po’ eccessivamente spinta.
Ed è in questo contesto di contrasti che si colloca, in questo periodo dell’anno, uno dei riti più antichi praticati nell’entroterra della Campania e dunque nelle campagne dell’Irpinia e della Valle Ufita, l’uccisione del maiale.
Per chi, come me, di primavere ne ha inanellate qualche decina, i ricordi sono ben scolpiti nella memoria.
Forse, in tempi contemporanei, rileggere quel rituale che vedeva interi nuclei familiari far festa di fronte a un corpo animale inerme può apparire macabro e privo di pietas. Ma in quei gesti, in quei raduni e in quella esultanza era racchiusa un’intera letteratura antropologica, geografica e soprattutto salvifica.
Perché la preparazione e la condivisione delle carni del maiale rappresentava al tempo stesso un segnale di ringraziamento e di speranza.
Insomma, da quel rituale si fondava, in qualche modo, una parte dell’economia delle famiglie contadine. Che naturalmente nell’eseguire le operazioni di preparazione e conservazione di tagli di carne, salumi ed insaccati si attenevano scrupolosamente ad un disciplinare non scritto ma fissato nella memoria di ciascuno.
Oggi, pur resistendo in alcune piccole aree anche della nostra Irpinia usanze legate alle tradizioni, le modalità di allevamento degli animali e macellazione delle carni sono profondamente cambiati.
Ciò che resiste, e fa da trait d’union con il passato, è però la procedura di lavorazione, per così dire, post mortem del maiale.
La fase decisamente meno cruenta e che, nel seguire tecniche consolidate, restituisce alle nostre tavole e ai nostri palati sensazioni di gusto incredibili, quelle che vengon fuori da piatti unici e straordinari quali il soffritto o l’insuperabile carne di maiale con patate e peperoni, una pietanza che trasuda storia ad ogni boccone.
Ed è a questi piatti, oltre che alla ricerca degli insaccati più autentici e genuini preparati dai contadini della zona seguendo le regole di un tempo, che la mia memoria torna, soprattutto in questi giorni.
Quando non manca mai, nei menù invernali del Mulino, un richiamo sensoriale al re della tavola.
Gianfranco Testa